Partner violenti: disturbi di personalità vs tratti di personalità

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Le notizie di cronaca sono sempre troppo piene di storie di violenza sulle donne da parte del partner (Intimate Patrtner Violence, IPV). La violenza può essere definita come minacciare, tentare o esercitare azioni che hanno conseguenze fisiche, emotive, mentali o cognitive che interferiscono con il benessere di un’altra persona (HCR-20 Version 3, 2013).

Nonostante la preoccupante diffusione, non sembra che si ottengano gli effetti auspicati con gli interventi che affrontano mentalità patriarcale, credenze positive sull’uso della violenza contro le partner e responsabilità individuale delle proprie azioni. Il motivo potrebbe essere un approccio troppo focalizzato sulla diagnosi di disturbi di personalità (DP) (in particolare Cluster B) tradizionalmente associati a comportamenti violenti, con il rischio di trascurare altre informazioni rilevanti o sovrapporre rigidamente DP e violenza. La letteratura riporta infatti che solo l’11% degli individui con diagnosi di DP esercita comportamenti violenti, a fronte del 7% nella popolazione generale.

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Sarebbe quindi utile tenere conto delle specifiche caratteristiche di personalità che potrebbero influenzare il rischio di violenza (per esempio, Holtzworth-Munroe and Stuart, 1994). Questo porterebbe ad un più completo metodo di valutazione del rischio individuale e una più efficace programmazione di interventi.

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Un aspetto importante è la sovrapposizione dei tratti in diversi DP: il Disturbo borderline di personalità (BPD) condivide con il Disturbo di personalità anti sociale (ASPD) molti sintomi, come esternalizzazione dei problemi, e con il Disturbo narcisistico di personalità (NPD) la disregolazione emotiva; con entrambi, l’impulsività. La presenza di tali tratti diagnostici, però, non sfocia necessariamente in un comportamento violento. Sembra dunque che possiamo raggruppare questi tratti di personalità in fattori predisponenti i quali, con la presenza di fattori precipitanti e idiosincratici, possono portare al comportamento violento. Il modello che emerge (Violence Formulation Model, Lowenstein et al., 2016) è quindi fondamentalmente relativo al contesto: l’interazione dei tratti predisponenti influenza il livello in cui i fattori precipitanti si aggregano per risultare in un comportamento violento.

I tratti predisponenti sono, per esempio: delusione di una natura grandiosa, evitamento dell’abbandono, aggressività, ideazione paranoide, violazione del senso di diritto.
Al centro troviamo tre fattori precipitanti che si influenzano a vicenda non direzionalmente e con un effetto aggregante: impulsività, disregolazione emotiva, difficoltà interpersonali.

Tra i fattori precipitanti troviamo anche il deficit di empatia. L’empatia ha un importantissimo ruolo evolutivo e sociale: è la capacità di comprendere gli stati emotivi degli altri. E’ un costrutto multisfaccettato formato dalla parte cognitiva (capire il vissuto dell’altro senza necessariamente connettersi emozionalmente) e da quella affettiva (avere una reazione emotiva congrua).

Nel BPD un certo deficit di empatia cognitiva (spesso esperita con iperarousal e ipermentalizzazione dei segnali emotivi dell’altro) influenza a sentirsi incompresi o calunniati e quindi sfogare la frustrazione con l’uso della violenza. Diversamente, in caso di alti livelli di empatia cognitiva, gli individui con diagnosi di BPD esibirebbero iperreattività psicofisiologica, con minore abilità di modulare le reazioni emotive e la tendenza a sentirsi sproporzionatamente colpiti dalle esperienze degli altri. Iperreattività fisiologica e disregolazione emotiva sono entrambi fattori nel Violence Formulation Model. L’mpatia sembra dunque posizionarsi come mediatore tra le caratteristiche di personalità borderline e l’iperreattività psicofisiologica, diventando uno dei fattori chiave del modello.

A testimonianza della natura trasversale dei fattori predisponenti e precipitanti, occorre dire che gli individui con diagnosi di psicopatia interpersonale-affettiva (Fattore 1, F1) mostrano deficit di empatia affettiva, una condizione testimoniata da arroganza, focus su sé stessi e disinteresse verso le conseguenze potenzialmente dannose per l’altro. In caso di bassi livelli di psicopatia F1, alti livelli di empatia affettiva sono correlati a iperreattività psicofisiologica; invece, alti livelli di psicopatia F1 sembrano attutire gli effetti dell’empatia affettiva sulla reattività psicofisiologica. Se questo controllo del livello di arousal sembra una cosa positiva, potrebbe in realtà sfociare in distacco emotivo, come aggressività disinibita.

Possiamo dunque concludere che la maggior parte degli studi non si sofferma sui tratti di personalità individuali del Cluster B, ma prende la diagnosi di DP per intero. Poiché per arrivare alla diagnosi ci possono essere molte combinazioni di tratti, è necessario analizzarli per distinguere chi metterebbe in pratica violenza e chi no e, da questo punto, focalizzare l’intervento preventivo e terapeutico non sul disturbo di personalità ma sui fattori che possiamo cambiare o controllare e che possono essere trasversalmente presenti in diversi disturbi di personalità e psicopatia. Occorre quindi allontanarsi da una natura categoriale del problema, in linea con lo spirito del DSM-5 e delle ultime ricerche.

 

Bibliografia:
link nel testo
Il ruolo dell’empatia in IPV in presenza di BPD e F1
Deficit dell’empatia in IPV e Cluster B
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