Resilienza vs Apatia

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 “Potremmo sopravvivere se la Milizia della Mente si arma contro i ciechi del cambiamento climatico”

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In un mio post precedente ho parlato dei motivi per i quali, pur sapendo che ci sono dei cambiamenti climatici in atto, facciamo poco o nulla per invertirli e mitigarne le conseguenze negative sulle nostre vite.
Uno di questi motivi è negare quello che sta accadendo perché impatta troppo violentemente contro le nostre emozioni. L’apatia che ne consegue è una risposta adattiva, per poter sopravvivere nonostante tutto nel nostro quotidiano.

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Qualche giorno fa sono andato per caso al MACRO (Roma) a guardare una mostra sul fumo in cui nove artisti mostrano il loro punto di vista sull’argomento. Passando per una stanza avvolta nel fumo in cui alcuni laser tentavano di formare evanescenti arabeschi, si approda in una serie di stanze più piccole in cui sono proiettati dei filmati. Uno, in particolare, ha attirato la mia attenzione: Burn, di Reynold Reynolds e Patrick Jolley. Questo corto, realizzato nel 2002, mostra un interno, una normalissima casa in cui gli abitanti, con movenze lente e meccaniche, fanno quello che fanno ogni giorno: leggere il giornale, fare i conti delle bollette, mangiare un panino. Tutto normale, se non fosse che la casa è in fiamme. Tutto all’interno sta bruciando, si sta deteriorando, sciogliendo, deformando. Eppure gli abitanti continuano le loro faccende come se nulla fosse e, se le fiamme lambiscono i loro abiti, le smorzano stancamente per poi reimmergrsi nelle loro attività.

Burn from Artstudio Reynolds on Vimeo.

Potete quindi capire quanto interessante è stato notare una similitudine con il concetto di apatia verso i cambiamenti climatici: è come se abitassimo una casa (il pianeta Terra) in cui tutto sta lentamente bruciando, presto non sarà più abitabile, ma noi continuiamo come se nulla fosse.

Nel video, uno dei personaggi getta della benzina su una donna che dorme e su sé stesso. Poi dà fuoco al letto. Vorrei stuzzicare la vostra curiosità e lasciare a voi la visione di quello che accade dopo.


Ci sono coloro che vogliono farci credere, per i loro egoistici interessi, che quella dei cambiamenti climatici sia solo una montatura, nonostante la schiacciante mole di prove.
Ci sono poi coloro che vorrebbero gettarci nel caos e nel terrore per quello che potrebbe accaderci: un animale in pericolo di vita accetterebbe qualsiasi compromesso pur di salvarsi.

Ci sono infine coloro, come l’artista Tori Amos, che cantano la resilienza, ovvero la capacità di far fronte e superare una difficoltà: in “Up the Creek”, Amos canta che, quando quasi tutta la speranza è andata via, è proprio allora il tempo di essere forti. Ed è una chiamata per ognuno di noi, “ogni ragazza in ogni band, ogni cowboy cosmico sulla terra”.

 

Mi piacciono queste due raffigurazioni, di persone che gestiscono le proprie emozioni e le guardano in faccia (come i componenti di una band musicale), ma anche persone che sono a contatto con la terra e ne conoscono valore e carattere, come i cowboy.
Io preferisco far parte di questo gruppo di persone. In quella casa in fiamme, prendiamo un estintore, ricostruiamo e installiamo un impianto di riscaldamento più sicuro per noi e quelli che verranno dopo di noi.

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