La psicoterapia ci rende egocentrici?

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Qualche giorno fa mi sono imbattuto in un articolo pubblicato su Vogue Italia che ci avverte di un pericolo: la psicoterapia starebbe contribuendo al dilagare dell’egocentrismo sociale. Per l’autrice, Alexandra Lores, il desiderio di migliorare (definito «ottimizzazione personale») verrebbe spinto fino a diventare un dovere e l’«eccesso di percezione di noi stessi» contribuirebbe ad una «società sempre più egocentrica» dove l’io è «al di sopra di tutto».
Nell’articolo vengono frullati insieme alcuni concetti con il risultato di un mix inevitabilmente tossico.
Mi permetto di ridosare gli ingredienti.

CONFINI
Lores parla di un concetto spesso approfondito nei percorsi di psicoterapia: i confini personali. L’autrice avverte che questi possano portare alla prevaricazione dell’altro. Il problema è che usa l’esempio sbagliato: un famoso attore di Hollywood ha spacciato per propri confini delle regole comportamentali che la compagna doveva rispettare (come il divieto di postare foto di sé stessa in costume da bagno). Ha cioè scambiato la legittima definizione dei propri confini (Questo tuo comportamento mi suscita gelosia) con l’illecita limitazione della libertà altrui (Ti vieto di fare quello che mi suscita gelosia).
In psicoterapia i nostri confini sono invece qualcosa di molto diverso: come la nostra pelle, ci proteggono da quanto potrebbe invaderci e ci permettono di incontrare e scambiare con il resto del mondo. Inoltre, ci aiutano a non egoriferire quanto succede, ovvero prendere sul personale quello che fanno gli altri. Al contrario, ci aiutano a capire quali aspetti dell’altro entrano in gioco nella relazione.

PALESTRA DI CONSAPEVOLEZZA
L’idea dei confini si affianca a quella di autopercezione, ovvero la nostra visione di noi stessi e come pensiamo che gli altri ci vedano. In un percorso di psicoterapia, a differenza di quanto paventato da Lores, l’autopercezione è uno strumento a nostra disposizione, un mezzo e non il fine. È dunque improbabile il rischio di finire «completamente [assorbiti] dalle nostre emozioni».
Quello che si fa, infatti, è allenare la capacità di comprendere come abbiamo vissuto e viviamo gli eventi della vita, trovando nuovi significati che ci aprano a nuove possibilità. Questo ci aiuta a funzionare al meglio, esprimere al meglio le proprie potenzialità, utilizzare al meglio il tempo che ci è stato concesso. L’autrice rende tutto questo negativo perché tralascia un fattore fondamentale: la strada verso l’essere persone migliori passa inevitabilmente dall’essere consapevoli che anche gli altri funzionano allo stesso modo, che anche loro hanno fragilità che spesso li influenzano. Come hanno influenzato noi in passato e probabilmente proprio questo ci ha portato in psicoterapia.

DOVERE SOCIALE
Prendersi la responsabilità della ricerca di soluzioni al proprio malessere ha effetti positivi sul benessere generale. È per questo che indossiamo la cintura di sicurezza o andiamo dal medico prima che il problema, peggiorando, ricada in maniera più faticosa non solo su di noi ma anche sulla nostra famiglia e sugli altri, come i colleghi di lavoro, la previdenza sociale, ecc.
Quindi ben venga il senso del dovere di prendersi cura di sé stessi anche nell’ambito psi, perché il mio benessere contribuisce al nostro benessere e viceversa.

In conclusione, direi che l’avvertimento accorato di Alexandra Lores possa essere ridimensionato.
La psicoterapia riveste un ruolo molto importante nella nostra società. Infatti, può aiutare a riprenderci la responsabilità che ognuno di noi ha verso sé stesso e verso gli altri, allontanandoci consapevolmente dall’autocontemplazione e funzionando al meglio nella nostra comunità.

FONTI:
Articolo citato pubblicato su Vogue Italia
Foto in copertina di Marian Oleksyn su Unsplash

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