Pensati celiaco – Giornata mondiale della celiachia

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Il 16 aprile 2024 ho partecipato all’evento “Pensati celiaco” organizzato dal Sen. Antonio guidi e il suo team presso la Sala Zuccari in Senato. All’evento sono intervenuti medici, sociologi, personalità di Instagram, cuochi e altri esponenti invitati per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’argomento.

In qualità di psicologo, mi sono state rivolte due domande dalla giornalista e moderatrice Elena Cecconelli e in questo post vorrei condividere con voi le mie risposte.

Dal punto di vista psicologico, quanto influisce questa condizione nelle persone e in che modo?
Di conseguenza quali sono le ripercussioni su chi si trova a fronteggiare questa malattia?

La malattia celiaca, similmente ad altre condizioni croniche come il diabete o la malattia di Crohn, è da metabolizzare dal punto di vista psicologico ancor prima che fisico. Tra le variabili coinvolte, due giocano un ruolo particolarmente importante: l’alimentazione e il fattore tempo.

L’alimentazione si intreccia profondamente con alcuni nostri aspetti fondamentali:
individualità – basti pensare ai gusti o alle scelte di cibi e sapori;
cultura – qui potremmo aprire intere enciclopedie sull’arte della cucina italiana e d’altronde il cucinare è ormai sempre presente in tutti i media e social media;
relazioni – mangiare è un’esperienza sociale ed una delle primissime condivisioni che ci lega ad un altro essere umano quando veniamo al mondo.

Tempo. Essendo una malattia cronica, la gestione è a lungo termine. Dunque esiste il rischio che nel tempo la comunicazione con gli specialisti si diradi e l’aderenza a terapie e comportamenti di salute diminuisca. Ecco perché la diagnosi va costruita intorno alla persona che è un essere vivente (vivente participio presente): in continuo cambiamento ed elaborazione e includere nell’organizzazione pratica la sfera emotiva, il vissuto della persona.

Infatti partiamo dall’assunto che ogni persona è più della sua condizione fisica o della malattia specifica. Dunque, quanto e come influisca una malattia cronica dipende moltissimo dalla variabilità personale.

Quando noi psicologi incontriamo un nuovo paziente, capiamo insieme la fase di vita nella quale è, le sue esperienze simili pregresse e come le ha affrontate, famigliari ed amici, risorse e fragilità conosciute e quelle ancora da esplorare. Infine le possibilità intorno alla persona, perché avere la celiachia a Roma non è come averla in uno dei tanti piccoli centri italiani.

Se la comunicazione della malattia celiaca può arrivare con un certo sollievo perché finalmente si è dato un nome riconoscibile al proprio malessere fisico e psicologico, nei successivi 6-18 mesi possono sorgere difficoltà: 

  • paura del come si vivrà con questa limitazione alimentare
  • senso di fragilità sia fisica che delle proprie capacità di adattamento, resistenza e persistenza
  • sintomi ansiosi e depressivi (inquietudine, irritabilità, flessione dell’umore
  • difficoltà ad esprimere le emozioni
  • tendenza a negare la patologia (senso di ingiustizia, rabbia)
  • difficoltà a gestire i cambiamenti nel corpo (come aumento di peso).

Inoltre è fondamentale tenere conto dei vissuti che hanno a che fare con la sfera sociale:

  • sentirsi diversi
  • timore di essere percepiti esclusivamente come malati
  • ansia sociale che si manifesta con isolamento ed evitamento di situazioni sociali
  • timore di essere esclusi
  • sentirsi un peso per gli altri o timore di essere percepiti come un peso 
  • senso di colpa (sentire di imporre agli altri la propria malattia, come nella scelta dei luoghi dove ritrovarsi o ai cibi)
  • o al contrario sentirsi incompresi spesso perché si confonde la malattia celiaca con una scelta.

Infine, tanto dipende dalla fase di vita in cui ci troviamo. 

Pensiamo alla riorganizzazione alla quale è chiamata una famiglia con un bambino con malattia celiaca, sfide che si affronteranno fino tutta l’età adulta: dalla spesa alla preparazione dei pasti alla mensa scolastica alle feste di compleanno alle uscite al ristorante ai pranzi di famiglia alle vacanze.
Il senso di colpa vissuto dal genitore che teme di aver fatto errori. Ipervigilanza per la preoccupazione che il bambino non segua le indicazioni. Al contrario, il timore di iperresponsabilizzare il bambino.

I bambini potrebbero provare vergogna a dover mangiare cibi diversi dagli altri, il timore di essere esclusi, la difficoltà ad osservare la dieta soprattutto quando i genitori non sono presenti.

In adolescenza il genitore può incontrare ancora più difficoltà nel controllo lí dove il ragazzo impiega tutte le sue forze (e di forze ne ha da vendere) nel suo percorso di individuazione e autonomia dalle figure genitoriali (ovvero l’irrefrenabile spinta a fare l’esatto contrario di quanto l’autorità ci dice!). L’essere diverso minaccia la sua necessità di sentirsi parte del gruppo. Intreccio molto complesso per l’adolescente che si trova a utilizzare la propria autonomia decisionale.

Da adulti, il controllo esterno viene interiorizzato ma possono rimanere le difficoltà delle quali parlavamo.

Questi sono alcuni degli aspetti che influiscono nel vivere con la malattia celiaca.

Quali sono i suggerimenti e i consigli che può dare legati alla sua esperienza clinica a chi è affetto da tale patologia.

Partendo dall’assunto che noi psicologi non siamo affatto portati a dar consigli, possiamo indicare comunque alcuni aspetti sui quali porre attenzione. Prima di tutto, lavoriamo per aumentare la consapevolezza dei nostri limiti e delle nostre risorse.

Gli specialisti sono nostri alleati e una comunicazione aperta e costante con loro ci aiuta a essere persistenti. Comunicare con nutrizionista per superare problemi comuni e frequenti nel cambio della dieta, come ricorso ai cibi preconfezionati, bilanciamento di grassi e zuccheri soprattutto nell’iniziale tentativo di sopperire all’eliminazione del glutine.

Considerare la caliachia anche come un’opportunità. Opportunità per esempio di conoscere ingredienti e possibilità nuove che non sottraggono bensì aggiungono, così come opportunità di un rapporto nuovo con l’alimentazione nel quale consideriamo davvero il cibo come essenziale per il nostro benessere psicofisico, passaggio che per chi non deve porsi il problema non è affatto automatico.

È un’opportunità per la famiglia, che accanto alle innegabili difficoltà, ha la possibilità di riorganizzarsi anche per ridistribuire certi compiti che a volte sono più appannaggio di uno o l’altro genitore, per fattori personali, socioculturali ed economici. Oppure ridefinire alcuni aspetti o stili educativi che senza l’occasione della malattia sarebbero rimasti in ombra, come imparare a responsabilizzare il bambino e togliersi lo scomodo ruolo di controllore.

Parliamo apertamente con gli altri e informiamoli. Noi stessi ci siamo dovuti informare all’inizio e spesso sulle situazioni che non conosciamo ci facciamo fantasie sbagliate dettate dalla nostra conoscenza limitata.

Ricordiamo che nelle relazioni importanti e significative è normale che le persone si curino e si vengano incontro a vicenda e si sostengano nei momenti di sconforto e difficoltà. Le persone che ci vogliono bene faranno in modo da includerci e non farci sentire isolati. Le ricerche evidenziano che anche avere pochi amici o famigliari che fanno lo sforzo di comprendere la malattia e venire incontro alle esigenze è di enorme supporto.

Conosciamo le risorse del territorio, come l’Associazione Italiana Celiachia, i gruppi di mutuo aiuto, le attività organizzate dalle istituzioni dell’educazione. Molte volte basta partire da una pagina sui social media per conoscere altre persone e famiglie.

Normalizziamo con la nostra comunicazione aperta una condizione molto diffusa e sempre più normalizzata anche grazie all’azione di attori sociali come tutte le persone che siedono e siederanno oggi a questo tavolo.

Celebriamo i traguardi, grandi o piccoli che siano, dallo stare finalmente meglio alla scoperta di un nuovo ristorante.

La frustrazione sarà nostra vicina di casa, ci busserà alla porta anche quando ne faremmo volentieri a meno. Quindi è essenziale saperla gestire, con specifiche tecniche tanto quanto riconoscere che è un vissuto passeggero che fa parte della vita di ognuno di noi, celiachia o meno.

E nel momento in cui ci rendiamo conto che la difficoltà è più intensa del previsto, che permane nonostante i nostri tentativi o si intreccia ad altre difficoltà nostre magari preesistenti, possiamo sempre contattare uno psicologo per avere il supporto di cui abbiamo bisogno e camminare insieme su un percorso lungo il quale rafforzeremo la consapevolezza sui nostri aspetti critici e capiremo come affrontarli così da farli diventare parte delle nostre risorse.

Infine un pensiero per tutti quelli che non sono interessati direttamente dalla celiachia. Il titolo dell’evento è stato “Pensati celiaco” e voleva essere anche un suggerimento: per comprendere le difficoltà che affrontano ogni giorno le persone che sono in una situazione diversa dalla nostra, occorre utilizzare l’empatia, ovvero la grande capacità di provare a sentirsi “come se” fossimo noi in quella situazione.

Un ringraziamento particolare all’On. Antonio Guidi, la dott.ssa Emanuela Felle e la dott.ssa Giovanna Adorata per l’organizzazione, la dedizione, la sensibilità e la risolutezza nel voler porre attenzione a temi così importanti.

Comunicati stampa:

https://corrierequotidiano.it/sociale/celiachia-e-disagio-sociale-lesperienza-e-strumento-politico-il-convegno-al-senato-per-migliorare-le-leggi/#:~:text=Dichiarazioni%20%E2%80%93%20Ha%20aperto%20i%20lavori,che%20rende%20unica%20una%20persona

https://www.dottnet.it/articolo/32536257/celiachia-e-disagio-sociale-l-esperienza-e-strumento-politico

https://panoramadellasanita.it/site/celiachia-e-disagio-sociale-lesperienza-e-strumento-politico/

https://nursetimes.org/celiachia-e-disagio-sociale-lesperienza-e-strumento-politico-il-convegno-al-senato-per-migliorare-le-leggi/175195/amp

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