Il raccolto di settembre

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Pieter Bruegel the Elder, The Harvesters, 1565, Metropolitan Museum of Art, New York City, NY, USA.

Molti pensano che la primavera sia la stagione più importante dell’anno. In effetti, è difficile non lasciarsi incantare dalla sua esplosione di colori, profumi e vita. È la stagione della rinascita, delle promesse, del tepore che ritorna dopo il lungo abbraccio invernale.
Eppure… c’è un’altra stagione, o meglio, un mese in particolare, che ha un ruolo cruciale nella grande sinfonia della natura: settembre.
In questo periodo dell’anno, la terra raggiunge uno dei suoi momenti più intensi. È il tempo del raccolto. Un momento in cui, fin dall’antichità, la sopravvivenza durante l’inverno dipendeva da ciò che si riusciva a mettere da parte. Mais, avena, orzo… le spighe ondeggiano al vento come danzatrici dorate, pronte a essere raccolte. Le viti, cariche di grappoli maturi, si preparano a diventare il vino, la bevanda sacra a Bacco. E tra poco sarà la volta delle olive, pronte a trasformarsi in quel nettare dorato che da millenni accompagna la nostra alimentazione: l’olio.
Settembre ci regala ancora giornate luminose e tiepide. L’estate non è ancora svanita del tutto, e può sorprenderci con quella che gli anglosassoni chiamano “Indian Summer”: un’improvvisa e breve ondata di caldo, quasi un ultimo bacio del sole prima dell’arrivo dell’autunno. Ma, come marzo, anche settembre può essere capriccioso: un giorno può prosciugare i pozzi, e il successivo spazzare via un ponte con una piena improvvisa.
È un mese che parla di impegno e di frutti. Dopo aver seminato e progettato durante la primavera e l’estate, è ora di raccogliere. Ma attenzione: questo è anche il tempo della saggezza, delle scelte ponderate. Perché tutto ciò che si è costruito finora può essere consolidato… oppure perduto.
La natura ce lo mostra con semplicità disarmante: il frutto non raccolto cade, marcisce nell’erba, diventa cibo per topi e uccelli. Nulla si perde, certo, ma non tutto arriva alla nostra tavola. È un’immagine potente, quasi una metafora della nostra vita: talvolta abbiamo lottato, investito energie e passione in un progetto… ma le circostanze non ci hanno permesso di completarlo. Eppure, proprio come ci insegna la natura, nulla va davvero perduto.
I nativi americani, in questo periodo, creavano piccole bambole con le foglie di mais: ciò che per molti era solo scarto, per loro diventava arte, cultura, simbolo. E così dovremmo fare anche noi. Ogni esperienza, anche quella incompiuta, ha dentro di sé un potenziale. Basta solo offrirle il giusto terreno.
Pensiamo a un legume secco, dimenticato in dispensa. A vederlo, sembra inerte. Ma basta acqua, un luogo buio e silenzioso… ed esplode di vita. È questo il mistero della natura. È questo il mistero che ci riguarda, da vicino.
Settembre ci invita a fermarci un attimo. A ringraziare, a celebrare, a raccogliere, a conservare, a riflettere.
È un mese che, nel silenzio dell’autunno che avanza, ci ricorda che ogni ciclo ha la sua bellezza. E che anche ciò che sembra finito… può essere solo l’inizio di qualcosa di nuovo.

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